Ricorre, nella giornata del 7 Ottobre, ad un anno esatto di distanza, il tempo dell’attacco di Hamas al cuore di Israele costato migliaia di morti che ha dato il via ad una terrificante escalation bellica che ha – per il momento, ci auguriamo- soppiantato qualsiasi volontà diplomatica, ammesso che quest’ultima sia effettivamente presente. Il corso degli avvenimenti sembrerebbe suggerire il contrario.

Partiamo dai punti fermi: a) il diritto della Palestina ad uno Stato proprio,  che -tuttavia- non potrà avvenire sino a quando la presenza dei palestinesi risulterà inquinata dalla prevalenza di Hamas; b) il diritto -in questo caso- di Israele alla difesa dei propri confini, senza che questo debba significare per forza di cose un ulteriore spargimento di sangue; c) il tentativo, perpetuatosi nei decenni,  delle milizie della stella di David di occupare altri territori: penso, per esempio, al martoriato popolo libanese; d) il ruolo della Repubblica islamica dell’IRAN, ricettacolo di fanatismi religiosi incontrollati e dove il fronte democratico fatica a progredire; e) l’assenza di una reale presenza dell’ONU –   e dell’Europa –  bloccate entrambe da diritti di veto anacronistici in campo sociale ed economico; f) l’incrocio dell’Iran con la FEDERAZIONE RUSSA, impegnata a recuperare i fasti dell’Unione Sovietica, così giustificando un atro tentativo di egemonia, quello nei confronti dell’Ucraina, peraltro guidata da uno statista improbabile nella persona di V. Zelensky; g) a chiudere: quale potrà essere il  ruolo degli Stati Uniti d’America, sinora impacciato nell’attesa di conoscere l’esito delle prossime elezioni presidenziali del 5 novembre.

Al di là dei punti fermi, poichè gli accadimenti camminano sulle gambe degli uomini non possiamo che constatare questa ventata di follia che pervade i protagonisti dell’attuale scenario internazionale. Da Vladimir Putin a Benjamin Nethanyau, il Presidente iraniano Khamenej, nonchè Donald Trump che troviamo in rampa di lancio. Alcuni si sono macchiati di crimini orrendi soprattutto dei confronti dei civili, altri interpretano la gestione del potere come una condizione del tutto personale.

La situazione appare a dir poco pericolosa. Occorrerà non essere spettatori inermi.

ANDREA G. STORTI