da Andrea G. Storti | Democrazia, Documenti, Elezioni, Evidenza, Italia
Il 7 0ttobre 2023 un violento attacco di Hamas nei confronti di civili israeliani ha dato inizio alla mattanza di un aperto conflitto che sembra -forse- avviato a conclusione. Al di la dei toni trionfalistici ascoltati in queste ore nel corso di manifestazioni ufficiali a Gerusalemme nella sede del parlamento israeliano -la KNESSET- prima, e, a Sharm el sheik successivamente, occorre ricordare la tragedia iniziale che vide irrompere i miliziani palestinesi di Hamas all’interno della manifestazione musicale “NOVA FESTIVAL” la cui edizione si teneva in Israele alla presenza di circa 4.000 partecipanti, dei quali 378 giovani israeliani vennero brutalmente trucidati.
Ebbe così inizio una rappresaglia che ha coinvolto per due lunghi anni il territorio della striscia di Gaza, di fatto rasa al suolo dall’esercito sionista con una serie indicibile di atrocità.
Da sempre i regimi politici, nessuno escluso, si basano sulla relazione ed il consenso; più della metà del trenta per cento degli americani che votano ha eletto Donald Trump a suo Presidente, ma il 6 gennaio di qualche anno fa questo signore ha aizzato i propri sostenitori nell’assalto al Campidoglio, facendogli poi, una volta a capo dell’Amministrazione, uscire di prigione; ha cancellato ogni sforzo a favore della tutela ambientale, ha tagliato i fondi all’istruzione, vilipeso ogni forma artistica, imposto un ritorno medievale alla sola sanità per ricchi.
Questo per ricordare soltanto alcuni passaggi che hanno fin qui caratterizzato l’inizio del suo mandato.
Ha riammesso Vladimir Putin come importante e significativa presenza nel contesto internazionale; ha chiesto la grazia per B. NETHANIAU – attuale premier israeliano-, criminale ricercato, autentico macellaio sociale per il quale a Gaza bisognava…….. “terminare il lavoro”; ; ha presentato alla Knesset la magnificenza dell’avanzamento tecnologico militare degli STATI UNITI d’AMERICA.
Ha dichiarato una guerra commerciale all’Europa tutta, alla Cina – vero suo spauracchio-; ha spaziato dal Canada alla Groenlandia come futuri territori annessi agli USA.
Ma, ha anche parlato di pace necessaria.
Conoscerà certamente i meccanismi del consenso, non certamente quelli della capacità di relazione al di fuori del concetto di supremazia.
In Italia, l’attuale Presidente del Consiglio ne ha elogiato capacità ed impegno.
In pieno inferno ci siamo, speriamo di poter fare ritorno proprio come i cittadini di Gaza.
ANDREA G. STORTI
da Andrea G. Storti | Democrazia, Documenti, Elezioni, Evidenza
Il vento ha, abbastanza improvvisamente, cominciato a spirare a favore dei democratici. Nei passaggi che si sono succeduti dal 27 giugno, data del primo dibattito tra i due sfidanti nella corsa alla Casa Bianca, la disastrosa performance di Joe Biden, oggettivamente non più presentabile, ha dato il via al pressing democratico che ha portato al suo passo indietro ed alla candidatura della sua vice Kamala Harris. In questo ha avuto un ruolo determinante la ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, acerrima oppositrice di Donald Trump, il quale si sta sempre più caratterizzando per ergersi, ancora una volta a paladino dell’ordine ed -in realtà- seminatore di odio- come ha dimostrato a tempo a Capitol Hill. Oggi egli continua a rappresentare l’America razzista e sessista che permea i suoi elettori.
Per parte repubblicana del resto soltanto Condoleezza Rice – non a caso, donna e nera- Segretario di Stato ai tempi del governo di GEORGE W. BUSH- ha conseguito un certo seguito e successo.
Californiana, di madre indiana e padre di origini giamaicane, vissuta a Berkeley, laureata in politica, economia e legge, ex procuratrice distrettuale della stessa California, nel gennaio 2021 Kamala Harris è divenuta vicepresidente degli Stati Uniti. Si è presentata a Milwaukee in uno degli Stati più importanti considerati dai principali sondaggi in bilico tra Repubblicani e Democratici, il Wisconsin.
In realtà l’operazione che potrebbe portare la prima donna alla Casa Bianca rianimando l’elettorato democratico sino a poco fa decisamente sonnolento e pessimista, è chiamata, prima di tutto ad evitare gli errori commessi nel recente passato dall’allora candidata Hillary Clinton, cui va il merito -nonostante la sconfitta- di avere avviato positivamente il processo della definitiva emancipazione politica delle donne americane.
Kamala Harris pare sulla buona strada.
Si tratta, forse, di regalare un nuovo sogno ai democratici e – prima di tutto – alle democratiche d’America. Un sogno costituito di parole chiave: noi e non io, libertà, speranza, opportunità e futuro. Ha contro un politico vecchio ed aggressivo e, come abbiamo già visto, capace di tutto. Ma il genere non può essere il metro con il quale giudicare un candidato.
E sta recuperando.
Non più espressione soltanto dell’ormai superato establishment dell’Asinello, -le parole di Barack Obama e Bill Clinton sono state comunque importanti, così come quelle di Michelle Obama-, ma anche della base rappresentata dal non più giovane Bernie Sanders e dall’eterna aspirante Alexandria Ocasio Cortez e nella scelta del candidato vicepresidente, Tim Walz, – governatore del MINNESOTA, possibile portatore dell’elettorato bianco negli Stati in bilico, il quale sostiene che Trump non sa che cosa sia il servizio. Egli è invece portatore dei valori appresi in famiglia e trasmessi ai suoi stessi studenti.
Il 71 % degli americani non conosce Tim Walz, ma a tre mesi dal voto per la Casa Bianca il ticket dei Democratici si è trasformato. Può accadere di tutto.
ANDREA G. STORTI
da Andrea G. Storti | Democrazia, Documenti, Elezioni, Europa, Italia

I risultati definitivi delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale Legislativa in Francia consegnano un verdetto inatteso.
Il NUOVO FRONTE POPOLARE, l’alleanza di sinistra che si è formata per contrastare l’avanzata del RASSEMBLEMENT NATIONAL al secondo turno elettorale, ha conquistato 182 seggi alla prossima Assemblea, composta di 577 deputati. La formazione centrista a sostegno del Presidente Emmanuel Macron -ENSEMBLE- ne ha ottenuti 168. Il RASSEMBLEMENT NATIONAL di Marine Le Pen, alleato con una parte dei REPUBLICAINS è terzo con 143 deputati eletti.
All’interno del F.P. la ” FRANCE INSOUMISE” di Jean Luc Melenchon è la più rappresentata con 74 eletti cui si aggiungono tre dissidenti del Partito. Il PARTITO SOCIALISTA avrà 59 deputati e gli ECOLOGISTI 28. Il PARTITO COMUNISTA ha eletto 9 parlamentari.
Al di là delle roboanti dichiarazioni di J. L. MELENCHON, immediatamente successive alla conoscenza dell’esito elettorale il vero vincitore è il Presidente della Repubblica E. MACRON, il cui notevole azzardo relativo alla scelta di indire nuove elezioni sciogliendo il Parlamento precedente si è rivelata vincente. Ora il problema che si pone è semplicemente relativo alla governabilità, poichè la nuova Assemblea che si è formata non consente l’individuazione di una maggioranza certa. Purtuttavia, dando per scontata la non riconferma dell’attuale Primo Ministro GABRIEL ATTAL, in carica da Gennaio 2024, occorrerebbe individuare una figura terza che potrebbe corrispondere al profilo di RAPHAEL GLUCKSMANN, per molti elettori un’ancora di salvezza per il campo progressista, del gruppo dei SOCIALISTI E DEMOCRATICI di Francia, l’avversario più temibile di J.L. Melenchon.
Ciò che ha collocato in un diverso piano i possibili sviluppi della situazione francese è stato – dapprima – l’annuncio della creazione di un nuovo gruppo al Parlamento Europeo – I PATRIOTI PER L’EUROPA che conterà 84 deputati, CON IL CONCORSO DELLA LEGA di MATTEO SALVINI , capeggiati dal Gen.le Roberto Vannacci.
Sempre in linea con le figure patriottiche, è poi piombata improvvisamente la notizia dell’attentato a DONALD TRUMP, candidato repubblicano alle prossime presidenziali americane di Novembre. Non sfugge a nessuno la gravità del fatto; va osservato che il probabile prossimo Presidente degli STATI UNITI d’AMERICA è vittima della sua stessa politica riconducibile alla forma violenta, come accaduto a Capitol Hill il 6 Gennaio 2021 per il quale sono stati individuati dei complottisti di estrema destra e del cui accaduto D. TRUMP deve ancora rispondere.
Speriamo non si prevedano tempi ancora più cupi.
ANDREA G. STORTI
da Andrea G. Storti | Democrazia, Documenti, Elezioni, Europa, Evidenza
Sessantasei (66) per cento di affluenza alle urne nel primo turno: soltanto nel 1993 e nel 1997 si era registrato un livello maggiore.
E’ la dimostrazione palese che quando la posta politica in gioco è elevata i cittadini rispondono. Nel caso transalpino l’elezione dell’Assemblea Legislativa è stata vissuta piuttosto intensamente. L’articolato sistema elettorale francese prevede per questo tipo di elezione un uninominale maggioritario a doppio turno. Pertanto, non necessariamente il partito che ha ottenuto più voti al primo turno avrà un peso corrispettivo nella futura Assemblea. Dei 577 seggi, dai 240 ai 270 andranno al RN di Marine Le Pen e Jordan Bardella accreditati in proiezione del 33,5 per cento. La sinistra di NFP si ferma al 28,5 (108 – 200 seggi); il partito dell’attuale Presidente -EN- al 22,1 (60 – 90 seggi). Percentuali minori per LES REPUBBLICANS (Gollisti) e per l’estrema destra.
Questa dinamica risente della forza dei candidati locali e delle coalizioni che si formano nei vari distretti. In teoria ciò apre la strada ad accordi “di desistenza” che possono succedere numerosi a danno, come sin qui sempre accaduto, dei partiti più estremisti.
E’ possibile che si verifichi una “coabitazione”, cioè un futuro governo di destra mentre il Presidente della Repubblica – che ha già chiarito che, nel caso, non si dimetterà – espressione di una realtà politica diversa.
Accadde anche nel passato recente ma allora i protagonisti si chiamavano, da un lato – Francois Mitterand, Presidente della Repubblica e Jacques Chirac capo del governo. Figure di tutt’altra caratura politica, pur in tempi oggettivamente diversi dall’attuale condizione.
Sulla carta l’unione -obtorto collo- della coalizione di sinistra con “EN MARCHE” di Emmanuel Macron potrebbe raggiungere il 50,6 per cento dei suffragi, relegando la possibile coalizione di destra (RASSEMBLEMENT NATIONAL e LES REPUBBLICANS) al 43,9 per cento, pur se, questa seconda unione non è stata ancora annunciata e potrebbe esserlo nell’immediato futuro. Rimarrebbe fuori soltanto la destra estrema accreditata dello 0,7 per cento.
Questo, tuttavia, nella pienezza degli accordi.
Ce la farà un ipotetico “fronte dei democratici”?
ANDREA G. STORTI
da Andrea G. Storti | Democrazia, Elezioni, Evidenza, Italia
Apprendiamo con sconcerto che l’esito dei ballottaggi alle amministrative 2024 non è affatto piaciuto al Presidente del Senato della Repubblica in carica. Egli invoca una riflessione circa l’elevato astensionismo registrato alle elezioni appena trascorse.
Tuttavia, per quanto concerne la competizione amministrativa occorre dire che storicamente si tratta del modello elettorale che più ha -sin qui- dimostrato di funzionare.
Nei 112 capoluoghi di provincia le amministrazioni governate da una coalizione di centro destra erano 52 nel 2019; oggi sono 40. Viceversa le coalizioni di centro sinistra passano, nello stesso periodo considerato, da 42 a 57. Sostanzialmente stabile il numero di capoluoghi guidati da liste civiche o di altra tipologia non riconducibile al bipolarismo, comunque ora più forte.
Le prossime elezioni previste in alcune Regioni forniranno un quadro ancora più chiaro. In quest’ultimo caso peserà certamente la deplorevole ed incresciosa vicenda del presidente della Regione Liguria.
Pare peraltro evidente che la prima e più importante causa del fenomeno dell’astensione dal voto -seriamente preoccupante- è costituita dall’impresentabilità di quella che anni addietro veniva definita con il termine dispregiativo di partitocrazia, giunta ormai all’epilogo.
Non può certamente essere uno dei rappresentanti che ha costituito il partito oggi di maggioranza relativa -“FRATELLI D’ITALIA”-, pur se Presidente del Senato, ergersi a baluardo di questo sfascio ormai poco tollerabile.
Infatti, il cittadino che ancora si reca alle urne lo fa in ragione della conoscenza -diretta o meno- del candidato amministratore, che sta alla base della scelta di ballottaggio.
Pertanto, non sussiste alcuna valida ragione che porti all’eliminazione di questa importante prerogativa, per se essa può dare origine a delle incongruenze nel passaggio dal primo turno alla scelta definitiva tra i due candidati che ottengono il maggior numero di voti, situazione – questa – che va affrontata, senza cancellare l’impianto attuale.
Le priorità che sussistono sono altre.
Una legge elettorale che supporta la composizione dei due rami del Parlamento non esclusivamente poggiata sul c.d. premierato priva, com’è oggi, di un indispensabile equilibrio con gli altri poteri dello Stato.
Una reale attenzione allo sviluppo economico del Paese attualmente caratterizzato da una forbice sempre più ampia tra i pochi detentori di ricchezza ed i sempre più numerosi presenti sulla soglia della povertà certificata.
Un modello di welfare che deve, per forza di cose essere vagliato non con finta attenzione, ma ridisegnato.
Una consapevolezza dell’importanza dell’ambiente non episodica. e frammentata.
Una cultura intesa non come possesso di nozioni, ma come comprensione del percorso esistenziale e delle relazioni che esso genera.
Potremmo andare avanti a lungo ma, per carità cristiana, pensando alla caratura della nostra odierna compagine governativa, ci fermiamo qui. La nostra Presidente del Consiglio – confidiamo – acconsenta.
ANDREA G. STORTI
da Andrea G. Storti | Democrazia, Elezioni, Europa, Evidenza, Italia
Nel commentare l’esito delle elezioni europee 2024, il primo, purtroppo, evidente dato è la scarsa affluenza registrata, attestatasi al 40.86 % degli aventi diritto. Questo significa che un elettore su due non vota e, pertanto si è vicini al punto di non ritorno.
Già in precedenza in un articolo del 18 Febbraio, all’indomani delle elezioni amministrative in Lombardia e Lazio segnalammo come una sostanziale carenza di proposta politica potesse allontanare sempre più elettori dalle urne. Ora, questa condizione si ripresenta in un modello di elezione ben più importante ed in una fase cruciale internazionale caratterizzata da un sommarsi di eventi negativi, dai quali -pare- non si intravvede via d’uscita.
Pesa l’assoluta fragilità delle istituzioni europee così come oggi si presentano. La loro architettura ibrida non favorisce una politica di ampio respiro come, invece, sarebbe assolutamente necessario, a partire dalla costruzione di una strategia di difesa comune come inoltre da un disegno di politica fiscale relativa ai Paesi aderenti la UE nel loro insieme.
Siamo, su questo ed altri terreni terribilmente indietro, mentre si allarga la forbice tra la nuova rappresentanza del Parlamento Europeo e quella del Consiglio d’Europa molto diverse, a seguito dell’esito di queste ultime elezioni.
Nel primo caso si andrà- con tutta probabilità- a costituire ancora una volta una maggioranza politica formata dal PPE, dal GRUPPO SOCIALISTA e da quello LIBERALDEMOCRATICO.
Per il Consiglio d’Europa la prevalenza dei Paesi a blocco conservatore è stata elettoralmente sancita in maniera inequivocabile da un deciso avanzamento dei “populisti” o -peggio dell’estrema destra. Si potrebbe, pertanto, presentare una sorta di coabitazione obbligata tra le due realtà.
Del resto il pesante insuccesso alle ultime elezioni continentali del Partito RENEW guidato da EMMANUEL MACRON a seguito del quale il presidente francese ha sciolto l’Assemblea Legislativa, dimostrando da un lato un grande rispetto delle istituzioni e della volontà popolare, dall’altro di tentare la ricomposizione dei cocci dell’opposizione a MARINE LE PEN, operazione molto difficile, equivalente ad un triplo salto mortale di tipo politico, determinerà il nuovo assetto transalpino.
Intanto una parte degli italiani gonfia il petto in quanto espressione di una solidità governativa mai in precedenza dimostrata.
Basterà?
In realtà ci stiamo avvicinando a grandi passi al modello politico americano dove – alle elezioni presidenziali o congressuali che siano – vota, mediamente il 30 % della popolazione con qualche effimera eccezione.
ANDREA G. STORTI