
Ci lascia definitivamente Re Giorgio.
La sua figura si presenta a due facce. La prima, il dirigente politico comunista. La seconda, l’uomo delle istituzioni a tutto tondo. Separate eppur unite da un continuo filo rosso. Nel primo caso assolutamente innovatore, nel secondo tendente alla caparbia conservazione, più di ogni altra caratteristica. Ha rappresentato, all’interno dell’allora PCI, uno dei non molti dirigenti capaci di opporsi all’ortodossia, sulla scia di Giorgio Amendola. Egli riteneva infatti possibile il graduale approdo ad una socialdemocrazia compiuta attraverso un cammino fatto di continui miglioramenti in questa direzione. Da qui la corrente di pensiero definita “migliorista” di cui è stato sempre il principale esponente; favorevole ad un costante rapporto di collaborazione con il Partito Socialista Italiano pur se rappresentato all’epoca da Bettino Craxi per molti comunisti ritenuto, invece, il nemico da abbattere politicamente.
Rimarranno incancellati il suo solido europeismo, la sua amicizia con Altiero Spinelli; ancora, la sua pacatezza, la sua cultura saranno certamente d’esempio. Non è casuale si sia trattato del primo comunista italiano divenuto Presidente della Repubblica, dopo l’esperienza di Massimo D’Alema alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel recente passato. Egli ha connotato la sua esperienza politica anche attraverso una serrata avversione al fenomeno del populismo. Memorabile, a questo proposito, la requisitoria tenuta nel 1988 da Napolitano nei confronti di Ignacio Lula Da Silva, oggi nuovamente presidente del Brasile al quale rimproverò il giovanile settarismo come modello di antagonismo alla sinistra moderata.
Ricordò tutto questo anni dopo quando in Italia crebbe il consenso attorno al “Movimento Cinque Stelle” di Beppe Grillo. Per nella consapevolezza che i partiti tradizionali fossero esclusivamente ridotti a macchine di potere e clientela, condizione anche dell’oggi, egli accettò di dare il via ad un secondo mandato quale Presidente della Repubblica Italiana per la prima volta nella storia nazionale. Si trattò -a nostro avviso- di un errore politico, così come, quale responsabile degli esteri del PCI, egli chiuse gli occhi di fronte al dilagare della corruzione politica ed amministrativa della c.d. tangentopoli che, come ora è noto e riconosciuto, coinvolse l’intera classe politica, PCI compreso ma non allo stesso modo perseguito. La ciambella di salvataggio che Napolitano lanciò al sistema partitocratico rappresenterà a lungo una macchia nella storia politica di Re Giorgio, quasi monarca delle istituzioni italiane.
ANDREA G. STORTI
