IL PERICOLO AUTOCRATICO E LA PRESENZA INCOMBENTE DELL’ISIS

IL PERICOLO AUTOCRATICO E LA PRESENZA INCOMBENTE DELL’ISIS

Le ultime vicende socio-politiche che vedono coinvolte – a vario titolo la RUSSIA, ma non soltanto,- inducono ad una approfondita riflessione concernente un pericolo autocratico da ritenere realistico. La rielezione plebiscitaria di Vladimir Putin si è manifestata come una procedura burocratica priva di alternativa e, pertanto,è del tutto inutile. Laddove sono presenti sistemi autoritario-corporativi non può svilupparsi e maturare democrazia alcuna. L’assenza di una organizzazione giudiziaria indipendente e la non esistenza di possibilità di  accesso ai media  colora il quadro complessivo di tinte molto fosche. In queste condizioni un qualsivoglia tentativo di aggregazione di massa non può esistere se non dettato coercitivamente. Su tutto questo poggia l’essenza del disegno complessivo di Vladimir Putin di riportare la nazione russa ad un rilevante ruolo internazionale come avveniva quando e fintanto che è esistita l’Unione Sovietica. Il consenso interno, reale o fittizio che sia, attorno all’invasione dell’Ucraina e, precedentemente, dell’annessione della Crimea ne costituisce la plastica rappresentazione.  La base su cui si regge l’odierna situazione è costituita dal terrore rivolto verso gli stessi cittadini russi  che traspare da ogni iniziativa.

La gente è immobilizzata dalla paura.

Il quadro delle relazioni internazionali del resto non induce a particolari forme di ottimismo. La strage rivendicata dall’ISIS in un teatro di Mosca con più di 140 vittime pone ancora una volta la presenza dell’organizzazione islamista al centro dello scenario internazionale. L’evento terroristico, preventivamente segnalato da Gran Bretagna e Stati Uniti conferma, prima di tutto,  la certezza che nessuna capitale europea può essere considerata città sicura.

Oltre a ciò è evidente il tentativo russo di porre la nazione di Zelenskj tra i responsabili di quanto accaduto, ma, in realtà,  rifuggendo dalla solidarietà internazionale, questo attacco verrà utilizzato in maniera strumentale allo scopo di accrescere la repressione interna ed intensificare nel contempo all’esterno il conflitto con l’Ucraina.

Tuttavia, si finge di dimenticare come proprio la Russia abbia guardato anche recentemente con indulgenza al ruolo dell’IRAN in versione antistatunitense e storicamente si sia impegnata nel sostenere dapprima la guerra in CECENIA ed, in tempi diversi, in SIRIA il sanguinario regime autoritario di ASSAD.

Per contro, la recente presidenza francese dell’Unione Europea si è rivelata fallimentare, e la stessa aggregazione continentale ha tergiversato nell’assumere una dura posizione rispetto agli sviluppi del conflitto russo-ucraino e verso le pericolose potenze autocratiche. Che dire poi del ruolo internazionale esercitato rispetto agli attuali conflitti bellici in aree cruciali del pianeta dalla CINA e dall’IRAN o, in ambito europeo dalla TURCHIA?

Tutti regimi che hanno, purtroppo, un comune denominatore. Essere cioè delle autocrazie autoritarie. Ci salvermo in quanto democrazie europee da tutto questo?

ANDREA G. STORTI

Una nuova illusione o, semplicemente, illusionismo?

Una nuova illusione o, semplicemente, illusionismo?

All’inizio fu Bettino Craxi -1983- a porre sul tavolo di discussione partitica (allora guidava un esecutivo pentapartito con il PCI all’opposizione) il tema di una riforma istituzionale in senso presidenzialista.

Da allora si sono susseguiti cinque ulteriori tentativi (BOZZI, DE MITA/JOTTI, D’ALEMA, Gruppo di lavoro MAURO/ONIDA, Disegno di Legge Costituzionale BOSCHI/RENZI) ad eccezione di una bozza (Violante- Commissione AFFARI COSTITUZIONALI e abbinati -2006/2008) il cui progetto NON fu approvato, nemmeno dalla Camera dei Deputati, anche in considerazione dell’anticipata cessazione della legislatura.

Tema, dunque, tutt’altro che nuovo e, brucia ancora il risultato del referendum popolare confermativo del testo di legge costituzionale del 4 dicembre 2016 che portò alle dimissioni dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, oggi -per ironia della sorte- senatore.

Le condizioni attuali sono diverse ma e’ dato per scontato che si giungerà ad un nuovo referendum confermativo, poichè una maggioranza parlamentare dei 2/3 dei componenti di ciascun Camera che garantirebbe l’approvazione diretta non c’e’.

Serve, peraltro ricordare che poco tempo dopo l’inizio del dibattito sui temi della riforma Costituzionale del 2016 circa il 70% degli italiani risultava favorevole, secondo i principali sondaggi. Poi, abbiamo visto com’e’ andata.

Ora, tre dei cinque punti su cui poggia la “riforma del premierato” possono, di primo acchito, anche essere condivisibili (Legge elettorale maggioritaria al 55%, norma anti-ribaltone, superamento della presenza dei senatori a vita): non così per il ridimensionamento degli attuali  poteri del Presidente della Repubblica, ancora nella situazione attuale figura “super partes” rispetto al Parlamento ed arbitro della situazione.

L’elezione diretta del premier rappresenta, invece, una forma di illusionismo in quanto, in piena ottica populista, farebbe ritenere che il semplice cittadino si riappropri così di un diritto/dovere che, nella realtà, non ha mai avvertito come tale.

Piuttosto, ci siamo forse scordati che proprio a Sergio Mattarella fu chiesto di ricandidarsi a Presidente della Repubblica per altri sette anni dal momento che l’Assemblea legislativa non fu capace di trovare un qualsivoglia consenso attorno ad  una nuova figura?

Forse giova rileggere Giovanni Sartori.

ANDREA G. STORTI

Protagonisti di questo infinito orrore

Protagonisti di questo infinito orrore

5.634 foto e immagini di Ayatollah Khomeini Photos - Getty Images

Se e quando questo orrore avrà termine esso ha nomi e cognomi il primo dei quali è questo signore in una immagine del suo ritorno al potere: era il 1979. Il fondamentalismo islamico è l’origine di tutto. Occorre, peraltro,  riconoscere che allora buona parte della pubblica opinione guardò con favore al rovesciamento del regime di Reza Pahlavi, scià di Persia, apertamente sostenuto dagli Stati Uniti. I suoi accoliti di oggi, protetti dal velo islamico, -leggi Ali Khamenei-   paiono, al confronto, mezze figure.

Qualche gradino più sotto sta Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU il quale ha pubblicamente preso le parti di HAMAS e, per questo, si dovrebbe dimettere, come Israele ha chiesto in sede di Consiglio di sicurezza. Si ritiene, inoltre   che Israele dovrebbe lasciare progressivamente i territori della Cisgiordania.

Tuttavia, non è opportuno che egli si dimetta, poichè l’attuale situazione ha bisogno di tutto  fuorchè di nuovi esempi di senilità precoce. Sta di fatto che, con questo, l’ONU ha toccato il fondo ed è oggi irrilevante.

Come non considerare il primo degli oligarchi russi, Vladimir Putin, autentico despota, nella convinzione che l’impero sovietico vada ricostruito e, pertanto, ogni lembo di terra nelle vicinanze prima cancellato ed in  seguito  aggregato alla madrepatria. Qualsiasi forma di autocrazia è guardata con favore. Per questa ragione la rivoluzione iraniana è pari a quella russa anche se il confine del 1917 può ritenersi ampiamente superato.

Nemmeno Israele è la culla della pace. Benjamin Netanyahu, detto Bibi , è un politico ed ex militare israeliano. La maestria tattica di Netanyahu rischia di produrre il disastro strategico di Israele imponendo fatti compiuti agli avversari ed ai critici. E’ il primo ministro più longevo della storia d’Israele. Alla guida del Paese dal dicembre 2022, lo è già stato dal giugno 1996 al 1999 ed ancora per un lungo periodo intermittente da allora al  2021. È membro della Knesset e leader del partito conservatore Likud. Si ha ragione di ritenere che una volta esaurita quest’ultima fase militare la politica israeliana boccerà definitivamente il suo operato e, di conseguenza, la sua figura.

Volodymyr Zelens’kyj, Presidente dell’Ucraina è, se possibile, il meno colpevole ma, da uomo di spettacolo qual era, viaggia ancora nella convinzione che per fermare la guerra sia necessario continuare a chiedere e ricevere costantemente armi.
Purtroppo, una ulteriore follia.

ANDREA G.STORTI

Re Giorgio, il comunista anglosassone

Re Giorgio, il comunista anglosassone

Ci lascia definitivamente Re Giorgio.

La sua figura si presenta a due facce. La prima, il dirigente politico comunista. La seconda, l’uomo delle istituzioni a tutto tondo. Separate eppur unite da un continuo filo rosso. Nel primo caso assolutamente innovatore, nel secondo tendente alla caparbia conservazione, più di ogni altra caratteristica. Ha rappresentato, all’interno dell’allora PCI, uno dei non molti dirigenti capaci di opporsi all’ortodossia, sulla scia di Giorgio Amendola. Egli riteneva infatti possibile il graduale approdo ad una socialdemocrazia compiuta attraverso un cammino fatto di continui miglioramenti in questa direzione.  Da qui la corrente di pensiero definita “migliorista” di cui è stato sempre il principale esponente; favorevole ad un costante rapporto di collaborazione con il Partito Socialista Italiano pur se rappresentato all’epoca da Bettino Craxi per molti comunisti ritenuto, invece,  il nemico da abbattere politicamente.

Rimarranno  incancellati il suo solido europeismo, la sua amicizia con Altiero Spinelli; ancora, la sua pacatezza, la sua cultura saranno certamente d’esempio. Non è casuale si sia trattato del primo comunista italiano divenuto Presidente della Repubblica, dopo l’esperienza di Massimo D’Alema alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel recente passato. Egli ha connotato la sua esperienza politica anche attraverso una serrata avversione al fenomeno del populismo. Memorabile, a questo proposito, la requisitoria tenuta nel 1988 da Napolitano nei confronti di Ignacio Lula Da Silva, oggi nuovamente presidente del Brasile al quale rimproverò il giovanile settarismo come modello di antagonismo alla sinistra moderata.

Ricordò tutto questo anni dopo quando in Italia crebbe il consenso attorno al “Movimento Cinque Stelle” di Beppe Grillo. Per nella consapevolezza che i partiti tradizionali fossero  esclusivamente ridotti  a macchine di potere e clientela, condizione anche dell’oggi,  egli accettò di dare il via ad un secondo mandato quale Presidente della Repubblica Italiana per la prima volta nella storia nazionale. Si trattò -a nostro avviso-  di un errore politico, così come, quale responsabile degli esteri del PCI, egli chiuse gli occhi di fronte al dilagare della corruzione politica ed amministrativa della c.d. tangentopoli che, come ora  è noto e riconosciuto, coinvolse l’intera classe politica, PCI compreso ma non allo stesso modo perseguito. La ciambella di salvataggio che Napolitano lanciò al sistema partitocratico rappresenterà a lungo una  macchia nella storia politica di Re Giorgio, quasi monarca delle istituzioni italiane.

ANDREA G. STORTI

La rivincita di Marco

La rivincita di Marco

Tratteggiato per anni come il giullare della politica italiana, in questo inizio d’autunno 2023 ottiene la sua rivincita.

Nel congresso del Partito Radicale del 1989 tenutosi a Budapest , cui si riferisce l’immagine in evidenza dell’intervento di Marco Pannella, la denominazione divenne quella di “PARTITO RADICALE TRANSNAZIONALE”. Apparve agli osservatori politici del tempo una bizzarria cui l’esponente in questione sembrava aver abituato. Il “nuovo” termine illustra fenomeni che non possono essere ricondotti o circoscritti entro uno Stato nazionale e che si traducono in relazioni, scambi comunicativi ed attività che si estendono oltre le frontiere nazionali. Possiamo affermare, senza timore di essere smentiti, che l’apertura alla dimensione sovra statale può essere il risultato della discussione sulla globalizzazione e dell’osservazione della migrazione e di altre realtà che esulano dalle frontiere nazionali con tutto il loro carico di problemi conseguenti  che – in particolare oggi – 2023 – ci troviamo ad affrontare.

Nel 2011, statutariamente, il Pr transnazionale assume nella sua denominazione, prima di tutto,  la dicitura “Nonviolento” e, purtroppo, mai come ora questo carattere è semplicemente ineludibile. Il conflitto russo-ucraino di Febbraio 2021  e quello israeliano-palestinese di queste ore connotano una striscia d’odio tra le parti belligeranti, senza precedenti per portata.

Non si può tacere per il caso medio-orientale la grande, negativa responsabilità, in primis, di HAMAS, gruppo terroristico finanziato ed armato dalla Repubblica Islamica dell’IRAN vera responsabile di quanto si è voluto che accada, con la “comprensione” russa.

Forse giova ricordare il destino della dissidente Narges Mohammadi del movimento “Donna, vita, libertà”, arrestata nel 2015 e detenuta nel carcere di Evin a Teheran, recentemente insignita del Premio Nobel.

Si assiste peraltro, a livello nazionale, alla non desueta suddivisione in fazioni all’interno dell’alveo politico partitocratico tra sostenitori di Israele o, viceversa, della Palestina, dimenticando che si tratta, prima di tutto, dell’odio covato nella situazione di ambedue gli schieramenti ed esploso non certo improvvisamente.

Permangono del resto tra Europa ed Asia focolai di guerra mai sopiti: si pensi, per esempio, all’area del Kosovo nei Balcani o del Nagorno Karabakh recentemente non più entità autonoma causa l’evolversi del conflitto tra Armenia ed Azerbaijan, nel Caucaso, non casualmente ex repubblica sovietica.

“Last but not least”: il clamoroso caso di suicidi in carcere, condizione particolarmente cara a Marco Pannella, spesso o sempre politicamente solo in questa battaglia. Proprio nel periodo in cui si ricordava l’allucinante vicenda giudiziaria di Enzo Tortora, si accendevano i riflettori della ribalta sulla vicenda di due suicidi femminili nel carcere di Torino e sulla condizione in genere di coloro che sono detenuti.

Sempre per e con gli ultimi.

Chapeau!!!

ANDREA G. STORTI

Il crepuscolo padano

Chi scrive è veneto per origine e residenza.

Assistiamo al ritorno all’opposizione politica della Lega Nord. Collocazione coerente per un movimento che raccoglie, nel suo carattere distintivo, l’aspirazione all’indipendenza della Padania, realtà esistente soltanto geograficamente. Si ritorna alla coloritura della scena politica con manifestazioni di dubbio gusto e scarsa intelligenza.

Otto degli ultimi anni sono stati, per la Lega Nord, al governo del Paese. Una scansione temporale sufficiente per portare a termine un progetto politico, o perlomeno avviarlo. Il risultato è invece il nulla. Si è entrati a pieno titolo a prendere parte del governo nazionale distinguendosi nell’assecondare le proposte del premier in nome di un federalismo evocato e mai realizzato, se non sotto forma di nuova tassazione. Il gruppo politico ha presentato, dopo un iter lungo e complesso, una proposta politica che è una scatola vuota. Anche qualora realizzata ed occorre vedere come, richiederebbe anni per dispiegare una forza propulsiva in positivo.

Sorto con l’obiettivo di spazzare via “Roma ladrona” ha finito per diventarne la quintessenza, ricordando soltanto nei fine settimana gli elettori operanti sul territorio. Alla giuda di un leader provato fisicamente, ha finito per confondere se stessa ed i propri aderenti.

Il carattere dei movimenti autonomisti o secessionisti ha sempre storicamente poggiato su un retroterra di ricchezza economica. Così è stato per il Nord Italia, dove una tela di piccola e media imprenditoria generalmente collocata ai margini del sistema politico ha creduto che sostenere un movimento di rottura dell’unità nazionale fosse sufficiente a disegnare nuovi confini e prospettive di nuova ricchezza, avulsa da ogni connotato prima di tutto culturale. Brandire, teatralmente, lo spadone di Alberto da Giussano ha sostituito la necessità di riempire, almeno parzialmente, un piccolo zaino di libri. Così, fortunatamente, non è stato.

I detentori di una ricchezza costruita da sè hanno ritenuto di farsi rappresentare da una nuova generazione politica, fatto positivo, ma palesemente inadeguato alle risposte che richiede una società oggi comunque complessa ed articolata, dove non è agitando il vessillo di un campanile qualsiasi della bergamasca che si fronteggia una globalizzazione planetaria.

Oggi si tenta una nuova inversione di marcia, cui peraltro anche in passato eravamo abituati, ma lo smarrimento dei sostenitori appare in tutta la sua evidenza.

É, pertanto, auspicabile non dover confidare nell’assenza di memoria politica storica e recente che contraddistingue i cittadini italiani, per assumere invece un continuo ricordare che chi oggi torna ad assumere un ruolo di drastica, pesante opposizione al governo in carica ha pesantemente aggiunto disastri politici a quanto di assolutamente negativo già esisteva.

ANDREA G. STORTI