Con malcelato ed ingiustificato stupore veniamo a conoscenza della relazione sullo stato di diritto presentata dalla Commissione europea il 25 luglio, all’interno della quale l’Italia nel complesso ha ricevuto le seguenti sei raccomandazioni:

  1. MAGGIORE IMPEGNO NELLA DIGITALIZZAZIONE PER TRIBUNALI E PROCURE;
  2. ADOZIONE DI UNA PROPOSTA LEGISLATIVA IN TEMA DI CONFLITTO D’INTERESSI;
  3. ISTITUZIONE DI UN REGISTRO OPERATIVO PER LE LOBBY;
  4. REGOLAMENTAZIONE INFORMATIVA SUL FINANZIAMENTO AI PARTITI;
  5. TUTELA DEI GIORNALISTI ED INDIPENDENZA DEI MEDIA;
  6. CREAZIONE DI UNA ISTITUZIONE NAZIONALE PER I DIRTTI UMANI IN LINEA CON I PRINCIPI DELLE NAZIONI UNITE.

Si tratta di temi della massima importanza la cui mancanza denota una condizione di spaventosa arretratezza  indegna di un Paese civile.

Ricordiamo, tra l’altro, in tema di diritti, il penoso ritardo a causa del quale non si è ancora provveduto a disciplinare il “fine vita”, nonostante una sentenza definitiva della Consulta che ancora surroga l’assenza di una Legge fortemente voluta dalla grande maggioranza dei cittadini  italiani, ripetutamente interpellati a livello sondaggistico.

La digitalizzazione della giustizia procede ancora a passo troppo lento e gli stanzoni ricolmi di scartoffie sono una immagine dura a morire.

Per altro verso, anche la riforma del premierato è finita sotto la lente della Commissione europea. Con questa riforma non sarebbe più possibile per il Presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al Parlamento come primo ministro, con una conseguenza indiretta sulla stabilità politica.

Relativamente ai punti riguardanti, prima di tutto, il tema del conflitto di interessi è forse sufficiente ricordare che la questione è datata 1994, quando salì al governo del Paese Silvio Berlusconi e, da allora, gli esecutivi succedutesi- compresi, colpevolmente, quegli a guida centro-sinistra- non produssero alcun provvedimento legislativo in materia. A questo occorrerebbe accompagnare l’adozione di passaggi tesi a superare la presenza occulta di lobbies a vario titolo, oggi non ancora emergenti.

Agli anni settanta-ottanta del novecento risalgono i tentativi di normare il finanziamento dei partiti politici, causa prima dell’esplosione del fenomeno di “tangentopoli” (1992) che ha distrutto larga parte delle compagini politiche di allora, ad incredibile esclusione del PCI-PDS.

A proposito della governance dell’informazione e del ruolo professionale dei giornalisti, rimandiamo ad altro specifico intervento in materia sulla presente testata.

Ultimo aspetto ma non certo per importanza: ci auguriamo vivamente che l’Italia si allinei in fretta ai Paesi più evoluti con la creazione di una Istituzione per i DIRITTI UMANI, dopo le scorribande – che ricordiamo ancora- del governo giallo-verde di recente memoria.

Ora, al massimo, ci terremo la palese ubbia dello stretto di Messina.

ANDREA G. STORTI