E se domani…

Proviamo a pensare a questa ipotesi: tra qualche giorno Silvio Berlusconi va, suo malgrado, ai servizi sociali ed implode “Forza Italia” a ridosso delle elezioni europee, con Berlusconi stesso che decide di “rovesciare il tavolo” non appoggiando la riforma del Senato della Repubblica proposta da Matteo Renzi nel quale il Partito Democratico si confonde totalmente.

Nel contempo, tramonta l’incerto appeal dei fondatori del M5S e con essi l’idea del Movimento nuovo, e nessuna delle forze politiche “intermedie” giunge ad un risultato significativo, in termini di peso elettorale. Una catena di eventi politicamente apocalittici che, tuttavia, avrebbe il pregio di riportare la politica nazionale ai nastri di partenza. Non secondariamente, con ogni probabilità, il cittadino medio vedrebbe annullarsi la siderale distanza che lo separa, oggi, dalla politica e potrebbe reinventarsi un interesse che temeva definitivamente perduto.

Rimane un solo problema: tutto questo non accadrà e la rappresentanza politica continuerà a fluire. Con essa la finta cancellazione dell’istituzione Provincia, provvedimenti economici la cui copertura è dubbia, estatiche promesse forse destinate a rimanere tali, un sembrare di essere in Europa per caso.

Colpisce, semmai, questa originale condizione dell’attuale governo a guida Renzi legata al fatto di disporre di due maggioranze: l’una che sostiene l’esecutivo formata con NCD e resti; l’altra con “Forza Italia”, destinata ad assicurare, ma non ne siamo poi così certi, il cammino delle riforme istituzionali e della nuova legge elettorale. Non una “politica dei due forni” di andreottiana memoria, ma una continua fibrillazione, questa seconda, di non scontato esito.

Pertanto, l’aver tenuto politicamente in vita un personaggio di dubbia capacità, assente moralità e nient’affatto statista come Silvio Berlusconi mostra evidenti limiti. Matteo Renzi l’ha compreso? O pensa di aver costruito per il suo quasi mentore politico una trappola dalla quale sarà difficile uscire indenni? L’unica certezza è che nell’attesa che questo angoscioso dilemma abbia termine, il cittadino italiano non potrà limitarsi ad uno sguardo, come quasi sempre, disinteressato.

ANDREA G. STORTI

Un pesante rifiuto

Scriviamo “a mente fredda” dell’esito delle ultime, parziali elezioni amministrative nazionali (poco più di cinquecento Comuni, su di un numero complessivo superiore agli ottomila) che hanno comunque assunto un preciso significato politico e che potranno disegnare, di qui a breve, nuovi scenari in termini di stretta attualità politica.

Si è materializzato un rifiuto molto pesante del voto. Il cittadino, schifato dai partiti tradizionali, non ha trovato, in questa occasione, valide alternative al non esprimersi: questo incontrovertibile dato è in sè molto preoccupante per il prossimo futuro.

I protagonisti delle “larghe intese” (Pd e PdL, non viene conteggiata Lista Civica di Monti, ormai residuale) hanno perso almeno un milione di voti su sette in tre mesi (raffronto con le Politiche 2013). É tuttavia evidente che confrontare il voto delle Politiche con le Amministrative non è corretto: tuttavia, se prendiamo come riferimento la sola Capitale il Pd arretra, sempre rispetto alle Amministrative, del 2008, del 43% ed il PdL del 65% . Quindi, quando si scrive “sale il Pd” (Corriere della Sera, Martedì 28.5.2013) si scrive una cosa non vera. Il tracollo del PdL è un dato di fatto.

Vince l’astensione e vi è, certamente, una sconfitta politica del Movimento 5 Stelle. Figlia, quest’ultima, essenzialmente di tre aspetti: 1) il non aver saputo intercettare una astensione dilagante; 2) essere caduto in una inazione, o di qualcosa che come tale è stata percepita dai cittadini italiani, nel periodo immediatamente successivo all’esito delle Politiche; 3) Il non essere ancora strutturato, territorialmente.

La responsabilità di questo stato di cose è tutta del Movimento, dei suoi principali rappresentanti, non certo dei cittadini elettori. I milioni di voti andati a Grillo ed al suo Movimento 5 S nel febbraio 2013 chiedevano e chiedono di essere protagonisti sulla scena politica, non semplicemente onesti comprimari.

Si segnalano, nel frattempo, alcune produzioni governative molto simili all’era Monti, soprattutto in termini di politica economica. Non paiono memorabili gli interventi in tema di lavoro e crescita. Abbiamo invece capito che anche questa volta non sarà il momento della riforma elettorale. Errore grave, principale intestatario di questo governo, Silvio Berlusconi, permettendo.

ANDREA G. STORTI

Un governo nuovo?

Un governo nuovo?

Nell’Italia della Repubblica presidenziale, un lato significativo sembra riservato all’idiozia politica. All’interno del Partito Democratico, evidentemente non soddisfatti delle più recenti figuracce, hanno forse deciso di toccare il fondo. O almeno così ci auguriamo.

L’On. Francesco Boccia, fedelissimo del nuovo Presidente del Consiglio, con riferimento alle regole statutarie del gruppo parlamentare della Camera ha affermato: …”Chi non vota la fiducia è fuori, perché in un partito serio le regole accettate da tutti vanno rispettate”… Mi chiedo semplicemente dove siamo finiti.

Una simile proposta si commenta da sè ma è sicuramente indicativa della deriva verso la quale si sta camminando. Un altro esempio al riguardo illuminante, è dato da una recente intervista di Matteo Renzi, Sindaco di Firenze e probabile prossimo leader del Partito Democratico, è il quale,quando l’esecutivo non era ancora varato sentenziava, delineando capacità di fine stratega politico, che si tratterà di un buon governo. Confermo, oggi, che il soggetto in questione è, probabilmente, un parvenu della politica ormai alla ribalta soltanto grazie alla disperazione dell’attuale partito di maggioranza relativa.

Il governo di Enrico Letta raccoglie la grande delusione del precedente esecutivo,è rilevando la drammaticità di alcune emergenze economiche (il necessario rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, la vergogna degli “esodati”, la non più derogabile esigenza di reali misure per la crescita e lo sviluppo economico), mentre è rimasta sul campo la necessità, anch’essa stringente, di rivedere il “fiscal compact” europeo, operazione tutt’altro che semplice. Crediamo che il più pesante errore di Mario Monti sia derivato dall’ostinazione di quest’ultimo a voler salire in politica a dispetto delle caratteristiche personali, del tutto diverse.

Osserviamo, inoltre, come la comune condizione dei principali schieramenti politici (centro sinistra, centro destra, M5S) dallo svolgimento delle ultime elezioni in avanti sia stata proprio quella di ignorare le indicazioni provenienti dalle organizzazioni di base e ciò ha significato ignorare l’orientamento votante di milioni di cittadini italiani. Il sistema politico se vorrà sopravvivere dovrà, prima di tutto, è rimuovere questo stato di cose.

Avere promosso un governo delle larghe intese ritenuto indispensabile non rappresenta certo, in questo senso, è una inversione di tendenza, un cambiamento reale.

A nulla varrà un nuovo governo pur connotato da una attenzione al genere dove, finalmente, si è compresa l’importanza di un salto generazionale anche in politica.

ANDREA G. STORTI

Dopo l’implosione del PD, ormai alla resa dei conti

Dopo l’implosione del PD, ormai alla resa dei conti

Il passaggio delle elezioni del nuovo Capo dello Stato consegna alcune inequivocabili realtà, in parte inattese. Il capolavoro al contrario della candidatura del Sen. Franco Marini, l’inutile ritorno dall’Africa di Romano Prodi, le dimissioni ad orologeria di Rosy Bindi da Presidente dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico, la rinuncia all’incarico di Segretario dello stesso partito prospettata da Pierluigi Bersani, la rielezione di Giorgio Napolitano.

Due considerazioni su tutte: la prima, il Capo dello Stato in Italia dovrà essere eletto, in futuro, direttamente dai cittadini. La seconda: non è nemmeno lontanamente pensabile che un partito, qualunque esso sia, possa utilizzare il palcoscenico dell’ elezione istituzionale della più alta carica dello Stato per regolare i propri conti congressuali.

Crediamo stia per arrivare la definitiva resa dei conti: da un lato la politica autoreferenziale di questi partiti che non riuscendo nemmeno ad eleggere un Capo dello Stato, ?ricorre disperatamente all’ultima chiamata per l’ultimo dei Presidenti, Giorgio Napolitano, affidandogli, nei fatti, poteri da Repubblica Presidenziale, non previsti dalla nostra Costituzione. Dall’altro, i pazienti cittadini che assistono, trasecolati, a queste alchimie da secolo scorso.

Giorgio Napolitano porta, inoltre, in dote la volontà di costituire un governo delle larghe intese, come chiesto dal “Popolo della Libertà” all’indomani delle elezioni del Febbraio scorso. Questo segnerà, probabilmente, è la fine del Partito Democratico, già, allo stato, non esattamente granitico. Si definirà, ritengo, una frattura tra i sostenitori di una collaborazione di governo con il centro destra e coloro che, invece, guardano a sinistra; questo significherà, pertanto, la cancellazione di qualsiasi ipotesi di lavoro attorno alla congiunzione delle forze riformiste cattolica, laica e socialista e la possibile riproposizione di una distinzione di origine ideologica, superata dalla storia.

Non vedo molte ragioni che inducano a ritenere positiva la formazione di un governo di larghe intese che, si presume, dovrebbe lavorare intorno alle priorità definite dai dieci saggi. É sufficiente auspicare che esso metta mano almeno alla riforma elettorale, così da consentire un rapido ritorno ad un efficace voto. Un orizzonte più largo non si intravvede e risulta con la politica di oggi quanto mai azzardato.

ANDREA G. STORTI

Il caso De Gregorio e, forse, il nuovo che avanza

Si chiudono le consultazioni del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, per la formazione del nuovo governo. Strada in decisa salita dopo l’esito delle elezioni politiche di Febbraio 2013. Stante l’attuale non disponibilità del Movimento 5 Stelle non si vede all’orizzonte alcunché di significativo, con buona pace di Pierluigi Bersani e del suo partito di sostanziali nullità.

Colpisce, e fa male, invece, l’essere oggi a conoscenza che nel 2007 venne varata ed ebbe per protagonisti Silvio Berlusconi, il Sen. Sergio De Gregorio, ed emissari dell’ Ambasciata U.S.A., con il coinvolgimento, poi lasciato cadere, del Ministro Clemente Mastella, la c.d “Operazione Libertà”( 3 milioni di euro versati al Senatore per il passaggio tra le fila del Centro Destra; 5 Milioni di euro promessi ad altro esponente dell’allora I.d.V. – , i peggiori in questo senso sono stati sempre loro, – per analogo risultato, destinato a far cadere il Governo Prodi, come poi avvenne). La vicenda, se provata, è a dir poco raggelante, perché sancisce un gravissimo episodio di corruzione politica nell’ambito diretto dei poteri dello Stato.

Con un tale viatico, i passaggi costituzionali ai quali stiamo assistendo, per prassi, in questi giorni assumono uno scarso rilievo, ed alcuni elementi positivi (l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, la proposta di piattaforma programmatica del M5S per 19 punti su 20,?l’incardinare il problema dei costi della politica tra i principali nodi da sciogliere) potrebbero essere poca cosa.

É forse pensabile che la straordinarietà ed assoluta precarietà del momento possa portare ad una rapida approvazione di una nuova Legge elettorale, così come sarebbe dovuto accedere a tempo debito, nonché di un sostanziale accordo sul nome del futuro Presidente della Repubblica che possa sciogliere le Camere e portare, in tempi brevi, ad una nuova, utile, consultazione elettorale?

Non mi sembra fantapolitica e, del resto, forse nessun’altra soluzione è possibile. L’urgenza delle questioni reali da risolvere, soprattutto in economia, non lascia alibi e nel contesto internazionale non si starà a guardare a lungo.

ANDREA G. STORTI

Il momento del coraggio politico

Il momento del coraggio politico

Un enorme “vaffa” ha sepolto la politica italiana. Non stupisce il successo del ”Movimento 5 Stelle” alle recenti elezioni del 24-25 Febbraio: arriva dopo un paio d’anni di stenti politici dove una presunta classe dirigente ha fatto di tutto e di più per dissipare la pazienza dei cittadini, riuscendovi perfettamente. Non si è trattato semplicemente di cogliere la protesta: se oggi la maggiore forza politica italiana è costituita da un movimento che tre anni fa, di fatto, non esisteva, significa che il confine della mera istanza protestataria viene superato.

Ora, il partito che ha comunque ottenuto nei due rami del Parlamento il consenso maggiore, riavutosi dalla condizione di essere primo senza tuttavia riuscire a vincere, ha di fronte due possibili strade: la prima: porre le basi per un accordo di governo con il “Popolo della Libertà” ed aprire la strada al proprio suicidio politico; la seconda: aprire un confronto programmatico con il M5s che sia tradotto in atti di governo, dopo i passaggi costituzionali previsti, tra i quali anche la fiducia parlamentare, senza che siano per questo fissate scadenze temporali o altro. La seconda ipotesi ci pare non facile ma percorribile se ognuna delle due compagini si vuole realmente fare carico della necessità di riscrivere il “sistema” Italia. I possibili elementi di programma comune sussistono ed ambedue le forze sarebbero così in grado di fornire una “risposta alta” in termini politici ai problemi del Paese, probabilmente suffragata dalla maggioranza dei concittadini.

ANDREA G. STORTI